domenica 19 agosto 2007

Scritto su Saba

15 / 08 / 07


Scritto su Saba

Oggi mi sono procurato una copia dell’Avvenire perché sapevo che vi avrei trovato una pagina dedicata a Umberto Saba nel cinquantesimo anniversario della sua morte.
Ero curioso di vedere come avessero trattato le note che mi erano state chieste sul rapporto tra il grande poeta triestino e il mondo della fede, in particolare tra la sua formazione nell’ambito della cultura ebraica e un certo documentato interesse per il mondo cristiano.
Perché avevo accettato di collaborare?
Interpellato una prima volta per telefono, avevo saputo che il mio nome era stato suggerito da p. Castelll, il grande studioso delle problematiche religiose presenti nella letteratura del ‘900, con il quale mi sento tuttora in debito per alcune generose recensioni dedicate ai miei scritti.
Dopo avere promesso la mia disponibilità, mi sono visto arrivare nel mio studio un giovane giornalista il quale candidamente mi confessò che, mentre il suo compito presso il giornale era quello di occuparsi abitualmente di fatti di cronaca, aveva ottenuto dalla redazione il permesso di trattare qualche tema di letteratura su cui si sentisse particolarmente preparato.
Come avrei potuto mortificare lo slancio di un giovane che voleva dialogare con le grandi figure della letteratura del ‘900?
E vengo ora a parlare delle ragioni per cui la lettura dell’articolo su Saba mi ha notevolmente amareggiato,
Premetto che non mi aspettavo di vedere il mio nome in bella evidenza sulla pagina del quotidiano (fortunatamente mi ritengo immune da queste debolezze di tipo narcisistico), ma che almeno fossero rispettate le note da me trasmesse.
Proprio per evitare che fossero stravolte, avevo subito bloccato il giovane giornalista quando lo vidi avvicinarsi a me munito di un piccolo registratore.
No, alle domande preferivo dare risposte scritte.
Si può immaginare pertanto la mia tristezza nel vedere che l’unica frase che mi viene attribuita (introdotta con le debite virgolette che poi ci si è dimenticati di chiudere) non mi appartiene nel modo più assoluto.
A parte il disappunto dovendo costatare ancora una volta quanto sia difficile offrire la collaborazione a un giornale senza correre il rischio di essere fraintesi o strumentalizzati, mi è parso che tutto l’’articolo fosse al servizio di un intento che non potevo condividere.
Mentre il mio baldo e militante giornalista si era preoccupato di vedere le ragioni del mancato battesimo di Saba, muovendosi secondo una prospettiva di tipo apologetico, io, che l’avevo messo in guardia da iniziative annessionistiche proprie di una certa cultura cattolica, avrei desiderato portare l’attenzione sul fascino particolare della personalità di Gesù da cui Saba si era lasciato conquistare.
Convinto che questo sarebbe stato il modo migliore, per un giornale come l’Avvenire, di ricordare Unmberto Saba, allego le note che avevo consegnato all’autore dell’articolo e che da lui sono state completamente ignorate.

D.: Quali sono le sue impressioni sullo scritto -Lettere a un amico vescovo- e sulla amicizia di Saba con il vescovo Giovanni Fallani?
R.: Quando nel 1981 ho avuto tra le mani questo volumetto edito da La locusta con le lettere scambiate da Umberto Saba con il vescovo Giovanni Fallani, mi è parso che la lunga confessione poetica raccolta sotto il titolo ultimo Il Canzoniere avrebbe potuto arricchirsi di altre motivazioni e di ben più profonde interrogazioni, se solo Saba avesse avuto, nel declinare delle sue forze, lo scatto necessario per dare forma poetica al sentimento religioso di cui le lettere ci offrono una preziosa, sorprendente testimonianza.
Saba, che aveva sempre cantato gli accadimenti della quotidianità cercando di scoprire di volta in volta, sotto il velo di questa realtà così dimessa, il palpito di un mistero capace di restituire dignità e grandezza anche alle creature e alle situazioni più umili, avrebbe potuto attingere a questa recuperata dimensione religiosa quella pienezza di senso verso cui anelava con tutta l’onestà del suo esercizio poetico.
In questo volumetto si può seguire –ed è un dono meraviglioso- la storia di un’amicizia esemplare perché vissuta non solo sul piano di una reciproca stima, ma anche di una calda adesione affettiva da parte di due persone che pure provenivano da due mondi culturali tanto diversi e, al tempo stesso, c’è il dispiegarsi di un’altra amicizia più segreta, quella che Saba sente nei confronti di Gesù.
Le lettere ne parlano chiaramente sottraendo il caso Saba al sospetto di quelle iniziative annessionistiche di cui veniva accusata una certa cultura cattolica proprio in quegli anni (non si dimentichi la polemica relativa alla vera o presunta conversione di Curzio Malaparte, morto nel 1957, lo stesso anno di Saba).

D.: Quali sono nel percorso esistenziale di Saba le occasioni e le ragioni che hanno favorito il suo rapporto con Gesù?
R.: L’incontro con Gesù non è avvenuto per una improvvisa apertura al mondo della fede, ma attraverso una serie di approssimazioni disseminate lungo il percorso di tutta la sua vita.
Un ruolo particolare va assegnato negli anni dell’infanzia alla balia di cui Saba, che proveniva da una famiglia ebrea, ricevette la prima educazione alle parole e alle immagini del mondo religioso cristiano.
Doveva essere una donna molto pia se è vero (Saba stesso ce lo ricorda) che teneva a capo del letto un’immagine di Gesù bambino, lo conduceva con sé la sera alla Chiesa del Rosario e gli faceva recitare il Padre Nostro in sloveno.
Questo corredo di emozioni non si sarebbe mai più cancellato, tanto che, il giorno in cui venne tumulata la moglie Lina, sorprese tutti i presenti recitando lui stesso ad alta voce il Padre Nostro.
Il legame con la figura esemplare di Gesù ha trovato poi in quegli anni, momenti di struggente intensità. Erano gli anni in cui Saba rimase molto provato da tante sofferenze, soprattutto dalla malattia che aveva colpito la carissima moglie.
In una lettera al vescovo Fallani c’è una confidenza particolarmente toccante:
“Quando mia moglie era ancora a casa e, almeno a tratti, in sé, le ho parlato un giorno di Gesù (non –badi- di Gesù Cristo, ma di Gesù semplicemente). Si era a tavola e pareva molto commossa; tanto che, appena la aiutai a mettersi a letto, le dissi: -Lina mia, vuoi che ci baciamo in Gesù?-.
La povera vecchia mi rispose: -Magari-. Abbiamo provato entrambi momenti di grande dolcezza; ci siamo baciati e abbiamo pianto”.
In quegli stessi anni altri autori, movendosi da esperienze diverse, si erano lasciati conquistare dal fascino della personalità di Gesù vedendo in lui l’immagine della vita, della giovinezza, della bellezza, della libertà.
Saba, che veniva da un’esperienza così profondamente segnata dal dolore, doveva necessariamente trovare in Gesù l’immagine speculare della sua condizione povera e vulnerabile,
Gesù assumeva ai suoi occhi i tratti del Christus patiens, del Gesù crocefisso, anche se della croce ignorava la forza di resurrezione.


D.: Leggendo questo scritto colpisce che Gesù per Saba è un grande personaggio ma non è il figlio di Dio. Accetta la storicità del personaggio ma non la sua divinità. Come si deve giudicare questa irrisolta posizione dal punto di vista della fede cristiana?
R.: Il Gesù a cui Saba riserva questa grande ammirazione non è ancora il Cristo della fede. Lui stesso lo riconosce con grande sincerità confessando di considerare “Gesù come l’uomo che si è avvicinato al divino o,almeno,a quello che i poveri uomini immaginano essere il divino”.
E aggiungeva; “Sì, amo infinitamente Gesù, ma (se così oso dire) amo come un ponte fra l’uomo e il divino. Lo amo come un ‘fratello’; infinitamente grande, infinitamente buono e amabile. Ho bisogno di credere, di appoggiare, in ogni caso, la mia disperazione a Gesù”.
Su questo cammino di approssimazione a Gesù, il termine estremo per chi si lascia condurre da uno stupore che non è ancora il sentimento della fede, è una sorta di abbagliamento per una luce impossibile da sostenere. E’ “un abisso di luce”, ebbe a dire un giorno Kafka, per cui “bisogna chiudere gli occhi per non precipitare”.
Anche Saba deve avere avvertito questo senso di vertigine di fronte alla suprema alterità di Gesù.
Certo ha ragione Bonhoeffer quando osserva che “Cristo viene sempre tradito da un bacio”, facendo capire che certe celebrazioni di Gesù Cristo che ne fanno un uomo grande, un saggio, un giusto non bastano a salvare il mistero del suo particolare rapporto con Dio.
Ma va anche detto che queste diverse immagini, anche se parziali e riduttive, hanno comunque il merito di mettere in luce vari aspetti della sua straordinaria ricchezza e di evidenziare il dinamismo perenne della sua presenza.
Soprattutto se a interrogare in modo nuovo la figura di Gesù sono persone che, come Saba, vanno cercando per la loro fame di verità e di speranza quelle risposte che nessuno più è in grado di dare.



1 commento:

  1. Mi piacerebbe leggere qualcosa di tuo a proposito di un ipotetico, non credo si mai avvenuto, incontro fra Saba e Biagio Marin.

    Certo le due religiosità erano assai differenti. Ma le loro sensibilità avrebbero reso assai interessante sapere che cosa si sarebbero detti.

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