Luglio 2007
Non trovo altre parole per definire il mio rapporto con il computer.
Se mai mi venisse a mancare, anche questi pochi pensieri vagabondi sarebbero
destinati a un vagabondaggio continuo e dispersivo, senza alcuna possibilità di vederli fissati, almeno per qualche breve margine di tempo, su una pagina bianca.
Proprio per questa sua indispensabile funzione, mi pare di patire un affronto particolarmente grave tutte le volte che incrocia, per così dire, le braccia e si rifiuta di collaborare.
Perché questi dispetti per cui mi capita di vedermi sparire pagine intere di un lavoro appena concluso?
È come voler fare uno sgambetto (uso un’immagine cara a Nietzsche) a chi già si regge male per conto suo.
Ecco perché in questi casi provo una profonda avversione contro uno strumento di lavoro di cui peraltro sono pronto a riconoscere tutte le benemerenze che me lo rendono compagno insostituibile e inseparabile.
Odi et amo, dicevo.
Questa dialettica sentimentale l’ho avvertita anche recentemente quando il mio portatile si è bloccato senza alcuna possibilità, da parte mia, di indurlo a più miti consigli.
L’unica nota di vita era una finestrella che ostinatamente si apriva per avvertirmi come un certo disco fosse sovraccarico di memorie (naturalmente riferisco con un linguaggio assai approssimativo) e fosse pertanto necessario alleggerirlo per poterlo riattivare.
Devo confessare che in una situazione tanto sgradevole non mi è mancata una nota di conforto.
Mi rendevo conto infatti che se anche il computer le cui capacità di memorizzare avrei sempre considerato pressoché illimitate, pativa certe défaillances, non dovevo preoccuparmi più di tanto per le mie amnesie senili.
Ecco come stanno le cose, mi dicevo. Anche nella mia testa c’è come un disco che con il passare degli anni ha raccolto troppe memorie.
È giusto perciò che abbandoni parte di questo bagaglio eccessivo per lasciare spazio alle novità che premono per essere ospitate e custodite dentro la sfera segreta del mio mondo interiore.
Ma ripensandoci mi accorgo subito che questa visione meccanicistica del processo memoriale non ne coglie per nulla il lato umano, cioè le vibrazioni ed emozioni che vi sono connesse.
Ricordare, rammentare, rimembrare stanno a significare (se l’etimologia non mi inganna) operazioni che si iscrivono nella profondità dell’essere umano .
Perciò a me pare importante distinguere tra memoria e ricordo.
Memoria potrebbe essere la registrazione puntigliosa delle cose, con uno sguardo neutro, impassibile, distaccato.
A queste memorie opache e inerti, affidate, come è giusto, ai meccanismi di un computer, fanno riscontro i ricordi che, per il fatto di essere filtrati attraverso una calda adesione emotiva, sono sempre vivi e creativi.
Non importa che i ricordi perdano i contorni precisi che avevano in passato, non importa che tu abbia dimenticato totalmente la vicenda di un racconto come pure di un film che ti era molto caro.
Ciò che importa è la traccia pressoché impercettibile, come un profumo o una iridescenza lieve, che comunque ha arricchito la tua umanità.
Succede, a me pare, quello che avviene per gli incontri che abbiamo vissuto e di cui abbiamo smarrito ogni riferimento.
Tutti questi incontri ci hanno lasciato qualcosa.
Possiamo perciò dire che quello che siamo lo dobbiamo a tutte quelle persone che in tempi diversi hanno incrociato positivamente la nostra esistenza e ci hanno fatto dono di una parola significativa, di un gesto di amicizia, di un’attenzione particolare.
Siamo quello che abbiamo ricevuto, anche se non si è più in grado di richiamare i vari momenti in cui qualcuno ci ha elargito una nota della sua gratuita sensibilità.
I ricordi più cari li dovremmo riservare ai passaggi di Dio nella nostra vita.
Nel diario di Julien Green c’è una nota meravigliosa tanto che mi capita di citarla spesso con profonda commozione:
Se dovessi partire questa sera e mi si domandasse che cosa mi ha maggiormente commosso in questo mondo, direi forse che è il passaggio di Dio nel cuore degli uomini.
Tutto si perde nell'amore. Anche se saremo giudicati sull'amore, non è meno vero che saremo giudicati dall'amore, cioè da Dio.
Questo mi porta a sperare che il Signore, quando ci accoglierà sulla soglia dell’eterno, non farà intervenire una sorta di verbale su cui saranno annotati tutti i nostri comportamenti secondo la loro collocazione morale, ma vorrà confidarci i ricordi più belli, quelli che maggiormente lo avranno rallegrato.
Sarà l’inizio della festa dei ricordi, in cui ciascuno godrà nel richiamare e condividere ciò che di più prezioso è custodito nel suo cuore.
Non trovo altre parole per definire il mio rapporto con il computer.
Se mai mi venisse a mancare, anche questi pochi pensieri vagabondi sarebbero
destinati a un vagabondaggio continuo e dispersivo, senza alcuna possibilità di vederli fissati, almeno per qualche breve margine di tempo, su una pagina bianca.
Proprio per questa sua indispensabile funzione, mi pare di patire un affronto particolarmente grave tutte le volte che incrocia, per così dire, le braccia e si rifiuta di collaborare.
Perché questi dispetti per cui mi capita di vedermi sparire pagine intere di un lavoro appena concluso?
È come voler fare uno sgambetto (uso un’immagine cara a Nietzsche) a chi già si regge male per conto suo.
Ecco perché in questi casi provo una profonda avversione contro uno strumento di lavoro di cui peraltro sono pronto a riconoscere tutte le benemerenze che me lo rendono compagno insostituibile e inseparabile.
Odi et amo, dicevo.
Questa dialettica sentimentale l’ho avvertita anche recentemente quando il mio portatile si è bloccato senza alcuna possibilità, da parte mia, di indurlo a più miti consigli.
L’unica nota di vita era una finestrella che ostinatamente si apriva per avvertirmi come un certo disco fosse sovraccarico di memorie (naturalmente riferisco con un linguaggio assai approssimativo) e fosse pertanto necessario alleggerirlo per poterlo riattivare.
Devo confessare che in una situazione tanto sgradevole non mi è mancata una nota di conforto.
Mi rendevo conto infatti che se anche il computer le cui capacità di memorizzare avrei sempre considerato pressoché illimitate, pativa certe défaillances, non dovevo preoccuparmi più di tanto per le mie amnesie senili.
Ecco come stanno le cose, mi dicevo. Anche nella mia testa c’è come un disco che con il passare degli anni ha raccolto troppe memorie.
È giusto perciò che abbandoni parte di questo bagaglio eccessivo per lasciare spazio alle novità che premono per essere ospitate e custodite dentro la sfera segreta del mio mondo interiore.
Ma ripensandoci mi accorgo subito che questa visione meccanicistica del processo memoriale non ne coglie per nulla il lato umano, cioè le vibrazioni ed emozioni che vi sono connesse.
Ricordare, rammentare, rimembrare stanno a significare (se l’etimologia non mi inganna) operazioni che si iscrivono nella profondità dell’essere umano .
Perciò a me pare importante distinguere tra memoria e ricordo.
Memoria potrebbe essere la registrazione puntigliosa delle cose, con uno sguardo neutro, impassibile, distaccato.
A queste memorie opache e inerti, affidate, come è giusto, ai meccanismi di un computer, fanno riscontro i ricordi che, per il fatto di essere filtrati attraverso una calda adesione emotiva, sono sempre vivi e creativi.
Non importa che i ricordi perdano i contorni precisi che avevano in passato, non importa che tu abbia dimenticato totalmente la vicenda di un racconto come pure di un film che ti era molto caro.
Ciò che importa è la traccia pressoché impercettibile, come un profumo o una iridescenza lieve, che comunque ha arricchito la tua umanità.
Succede, a me pare, quello che avviene per gli incontri che abbiamo vissuto e di cui abbiamo smarrito ogni riferimento.
Tutti questi incontri ci hanno lasciato qualcosa.
Possiamo perciò dire che quello che siamo lo dobbiamo a tutte quelle persone che in tempi diversi hanno incrociato positivamente la nostra esistenza e ci hanno fatto dono di una parola significativa, di un gesto di amicizia, di un’attenzione particolare.
Siamo quello che abbiamo ricevuto, anche se non si è più in grado di richiamare i vari momenti in cui qualcuno ci ha elargito una nota della sua gratuita sensibilità.
I ricordi più cari li dovremmo riservare ai passaggi di Dio nella nostra vita.
Nel diario di Julien Green c’è una nota meravigliosa tanto che mi capita di citarla spesso con profonda commozione:
Se dovessi partire questa sera e mi si domandasse che cosa mi ha maggiormente commosso in questo mondo, direi forse che è il passaggio di Dio nel cuore degli uomini.
Tutto si perde nell'amore. Anche se saremo giudicati sull'amore, non è meno vero che saremo giudicati dall'amore, cioè da Dio.
Questo mi porta a sperare che il Signore, quando ci accoglierà sulla soglia dell’eterno, non farà intervenire una sorta di verbale su cui saranno annotati tutti i nostri comportamenti secondo la loro collocazione morale, ma vorrà confidarci i ricordi più belli, quelli che maggiormente lo avranno rallegrato.
Sarà l’inizio della festa dei ricordi, in cui ciascuno godrà nel richiamare e condividere ciò che di più prezioso è custodito nel suo cuore.
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