domenica 19 settembre 2010

Allegato

Chi abitualmente mi segue in queste mie peregrinazioni tra i ricordi di un passato sempre più lontano e le impressioni dettate da un hic et nunc sempre più difficile da interpretare, si sarà accorto che questo testo non è mio: non mi appartiene.
Come dunque è potuto entrare in questo mio diario?
La decisione è stata mia e soltanto mia.
Mi spiego.
Quando di questo diario vennero pubblicati dall'editrice Ancora i primi due volumi (chissà se mi riuscirà di pubblicarne un terzo) con il titolo di Pensieri vagabondi I e Pensieri vagabondi II, rimasi felicemente sorpreso per la simpatia con cui venivano accolti.
Sono infatti molte le persone che incontrandomi o scrivendomi mi hanno espresso il loro compiacimento.
Numerose sono anche le recensioni che mi sono state segnalate. Bellissima quella di Ugo Basso apparsa sulla rivista Il gallo di Genova, come pure quella pubblicata dal quotidiano Avvenire, anche se mutilata -così mi è stato detto- della parte finale, là dove ci doveva essere una nota riguardante quella forma di sano anticlericalismo che ogni cristiano dovrebbe esercitare per denunciare e combattere i mali che offuscano l'immagine della propria chiesa.
Fortunatamente la censura ha risparmiato il testo che fa da prefazione a questo secondo volume del mio diario. E' di Luca Frigerio il quale, pur non conoscendomi personalmente, ha messo in luce gli aspetti che creano e trasmettono al lettore una nota costante di stupore, tanto che -sono parole sue- "non sapevo decidermi se correre per leggere ancora e di più o se soffermarmi per riflettere e meditare".
Queste attestazioni di stima le prendo come incoraggiamento a proseguire con questo tipo di scrittura.
E' quello che sto facendo.
Mi spiace soltanto di non avere un riscontro immediato ai "pensieri vagabondi" che affido al mio blog semm chi.
Quando infatti mi riesce di pubblicare una pagina di questo mio diario, credo sia legittimo il desiderio -voi mi capite- di trovare qualche breve nota di commento.
Basterebbe una semplice boutade come quella di un mio amico il quale, volendo deplorare il progressivo rarefarsi di questi miei interventi, ha chiosato il titolo del mio blog con questa arguta correzione: "Semm chi ma minga semper".
Ciò che importa è vedere scomparire quel mortificante 0 (zero) commenti, a piè di pagina, che ti può indurre a queste desolanti considerazioni: "Vuoi vedere che neppure una persona si è degnata di prestare un poco di attenzione a questo tuo scritto?
E d'altra parte che cosa potresti aspettarti da questo tuo scribacchiare disarticolato e sciamannato?" (a proposito di questo ultimo termine, mi è facile ricordare come abitualmente se ne servisse il mio vecchio professore di ginnasio, soprattutto nella correzione dei temi, per i quali capitava d trovare giudizi espressi con uno sciamannato- o con uno sciamannato+).
Ma può capitare anche che, mentre ti stai ancora rattristando per queste piccole disavventure che possono ferire il tuo orgoglio di autore sottostimato, ti trovi inaspettatamente raggiunto e gratificato non da una semplice annotazione, ma da una recensione motivata e ragionata ai due volumi di Pensieri vagabondi che sono stati pubblicati.
E' successo qualche mese fa, quando, avventurandomi una sera in internet, trovai la segnalazione di uno scritto che mi riguardava.
Potete immaginare la mia sorpresanon appena mi resi conto che si trattava di una ragazza della mia parrochia che non mi era mai capitato di avvicinare, mentre conoscevo bene la madre.
Ed è stata proprio la madre a confermarmi i sentimenti che avevano accompagnato la figlia nella lettura del mio diario.
Che cosa avrei dovuto fare? Avrei dovuto esprimere immediatamente la gratitudine con tutta la simpatia che il testo meriterebbe.
E invece mi accorgo che sono passati diversi mesi e, forse, un anno intero senza che da parte mia ci fosse un cenno almeno di plauso per la bellezza delle parole che con tanta prodigalità mi erano state dedicate.
Ora che sento il peso di questo peccato di omissione che mi fa correre il rischio di passare per un padre omissionario, come è capitato a un mio carissimo amico, ho pensato di rendere pubblico lo scritto di Elena, con questo semplice biglietto di ringraziamento:
"Carissima Elena, spero che il mio lungo silenzio non abbia modificato radicalmente il giudizio che avevi formulato su di me nel corso della lettura del mio diario.
Ne avresti avuto pienamente il diritto.
Ma è tale la generosità del tuo animo che oso sperare anche ciò che normalmente non è dato di riscontrare neppure nelle amicizie più esemplari.
Ti auguro di conservare sempre questa dolcezza d'animo che è un dono prezioso per tutti coloro che avranno la fortuna di incontrarti".

domenica 11 aprile 2010

Pensieri vagabondi

Ogni tanto mi capita di leggere un libro che mi colpisce particolamente per la sua bellezza, per i suoi contenuti, perché si conforma perfettamente allo stato d'animo in cui mi to in cui lo sto leggendo…e allora comprendo di aver trovato un tesoro prezioso, da conservare gelosamente nel mio cuore e nella mia mente, oltre che nella mia libreria, ma, allo stesso tempo, da condividere con gioia e complicità con gli amici.

Il libro di cui vi parlo "Pensieri vagabondi" per me è stato davvero un tesoro. Sarà un po' difficile da recensire, perché si tratta del diario dell'autore: per me, leggere un diario è come entrare in contatto diretto con chi l'ha scritto e, in un rapportarmi con lui. Mi sarà forse arduo cercare di scavare ancora un po' nei suoi pensieri per rendere l'idea dei contenuti e delle sensazioni che questa lettura mi ha donato.
Eppure, quando questo libro mi è stato regalato ho storto un po' il naso…e molti di voi, dopo aver letto forse questa opinone mi commenteranno "utili info...ma, grazie, non è il mio genere."

"Pensieri vagabondi" è infatti il diario di Luigi Pozzoli, fino a poco tempo fa parroco di S. Maria al Paradiso di Milano, che, per la cronaca, è stata la mia parrocchia (e l'autore di questo libro mio parroco) nei tempi in cui a Milano ho vissuto. Don Luigi mi è sempre sembrato una persona un po' schiva, molto profonda, molto filosofica, uno dei pochissimi sacerdoti -lo ammetto- di cui riesco ad ascoltare le omelie senza noia o, peggio, irritazione.
"Grazie" ho detto dunque, con un sorrisetto, quando mi è stato consegnato il libro, ma intanto pensavo: " E dai, mamma, mi regali il diario del parroco! Lo sai che sono credente, ma con molti (troppi) dubbi e che non mi metto certo a leggere prediche…." . Ma mia mamma che, da madre, sa leggere ogni mio sguardo, non si è scomposta di una virgola "Tu leggilo, poi mi dirai".

Per qualche giorno io e questo libro ci siamo guardati dubbiosi, ma poi, capita un attimo in cui troppi pensieri affollano la mia mente e ho bisogno di distrarmi…ho un po' di libri in lista d'attesa e incomincio con un paio di gialli di quelli che so che mi prendono dalla prima all'ultima pagina. Niente da fare. Questa volta non funzionano.
"Pensieri vagabondi" è ancora lì, che mi guarda tranquillo. Oh, va bene, proviamo….

"Perché l'ho dimenticato in questi mesi, come se neppure l'avessi ricevuto? E' triste pensare che si è così poco attchiudono il sapore più bello della vita. Ma le invenzioni dell'amore possono riportare alla luce ciò che era sepolto e suggerire una nuova emozione. Come a farsi beffe del nostro dimenticare".
Non l'ho mollato più fino alla fine.

Dalle pagine di questo diario emerge una persona, che già sapevo essere notevole, straordinaria nella sua umanità e nella sua sensibilità. Niente di quello che mi sarei aspettata dal diario di un prete, tutto di quello che avrei amato scrivere io stessa in un diario…compreso, perché no, un gioioso abbandono, pieno di stupore, ad una fede profonda:
"Signore, dammi di danzare sempre con grande gioia la mia fede."

I suoi pensieri vagabondi, spesso fermati sulla carta nelle ore serali, si rincorrono con una leggerezza straordinaria, ma quanta profondità in questa leggerezza! Tuttavia, a ben vedere, riprendendo una riflessione di Paul Valery, i suoi suoi pensieri suggeriscono la leggerezza dell'uccello, non della piuma, "in una dimensione sconfinata di libertà, senza mai perdere l'orientamento".
I temi affrontati, oltre naturalmente alla fede, sono molto umani, don Luigi parla dei suoi viaggi, dei suoi amici, delle sue passeggiate per Milano, della sua insofferenza per certi atteggiamenti della Curia, dei gesti semplici della vita che rendono grandi le persone che li compiono…e a tutti regala un pensiero di una sensibilità profonda. Di fronte ad un "mestiere" che lo porta, per forza di cose, ad affrontare miserie e sofferenze della vita, non cessa di protupore. Ne esce il ritratto di un uomo profondo, e tuttavia ben conscio della realtà in cui vive e non da essa estraniato, ma, anzi, intensamente presente.

Persino i gesti e le abitudini quotidiani diventano incredibile spunto di riflessione…anche il disordine cronico in cui tiene i suoi libri….
"Aiutami a raccogliere, nella mia vita, qualche foglio sparso, abbandonato, lasciato al bizzarro gioco del caso.
Ma quando vedessi che altri fogli sono troppo sistemati, scompigliali pure in un'allegra confusione che mi faccia un poco ammattire, per darmi il senso dell'incerto, del provvisorio, dell'incosistente, del buffo mistero che a volte è la vita."

Non manca, infatti, una gran dose di ironia che, se possibile, rende ancora più lieve questa straordinaria lettura. Si legge come un romanzo, questo diario, e già so che d'ora in poi se ne starà come un amico sul mio comodino.
Mi ha lasciato, se possibile, un unico rimpianto: la consapevolezza di trovarmi di fronte ad una persona stupenda, quale io, purtroppo, non sarò mai.

So da mia mamma che Don Luigi da poco non è più parroco, essendo andato "in pensione" (si dice così anche per i sacerdoti? Non so), ma a lui va il mio saluto e il mio più sincero "grazie".
E se per caso vi capita di imbattervi in questo libro...lasciatevi tentare.

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Vi saluto con un ultima citazione dal diario, ripresa da un dialogo del decalogo 1 di Kieslowski:

"Che cosa è Dio? domanda il bambino.
La madre lo stringe tra le braccia e gli chiede: "Che cosa provi?"
"Ti voglio bene" risponde il bambino.
"Ecco, Dio è questo."

(cfr. http://www.ciao.it/Pensieri_Vagabondi_L_Pozzoli__Opinione_764831)

mercoledì 31 marzo 2010

Ma mì

Ma mì: due monosillabi, due particelle di un discorso che si preannuncia molto teso.
Il ma avversativo suggerisce l’idea di una conflittualità, mentre il mì successivo, che nel dialetto milanese corrisponde al pronome di I persona (mi=io), rappresenta il soggetto a cui è affidata l’azione contestatrice nei confronti di una situazione che altrimenti sarebbe insostenibile.
Un esempio?
Lo trovo in un poemetto di Carlo Porta che mi è capitato di rileggere in questi giorni.
Per illustrare i caratteri diversi della poesia romantica rispetto a quella classica (il poemetto è intitolato Romanticismo), il Porta mette in scena un bon omm che, mentre el fava i fatt soeu dietro il Duomo, viene sorpreso da uno scaccino della cattedrale il quale lo redarguisce gridandogli:
“Se pò nò, se pò nò!... Ma mì la foo” è stata la risposta.
La bassezza del paragone, già rilevata del resto dall’autore stesso, non impedisce di cogliere la forza di questo ma mì che pare attinga le sue ragioni non solo da un dato incontrovertibile della natura, ma anche, sia pure velatamente, da una Parola che un giorno si è fatta udire nella storia dell’umanità.
Cercherò ora di chiarire queste osservazioni ripercorrendo il cammino che mi ha portato da una visione superficiale della realtà, legata cioè all’evidenza dei suoi aspetti esteriori, alla percezione di un senso più profondo, se solo si fosse disposti a convertire i dati oggettivi in elementi metaforici, capaci cioè di alludere a una realtà più nascosta.
Leggendo “se pò nò, se pò nò, ma mì la foo…” ho ritrovato nella memoria immagini di una gita- pellegrinaggio al santuario della Madonna Nera di Einsiedeln nel nord della Svizzera.
Da Porlezza, dove trascorrevo con i miei compagni di II teologia il mese di vacanza estiva (era l’agosto del 1953), diversi pullman ci avrebbero portati alla meta.
Data la lunghezza del percorso, poche erano le soste previste. Forse una sola.
Fu pertanto una fortuna che viaggiasse con noi un nostro anziano professore il quale, a un certo punto, ancor prima che si arrivasse alla sosta programmata., fece arrestare il nostro pullman ai margini di un vasto prato, delimitato da una fitta siepe di arbusti.
Cosa stava succedendo?
Tutto fu chiaro quando vedemmo il nostro vecchio professore lasciare il pullman con un’agilità insospettata e, senza neppure cercare un riparo decoroso, farsi “i fatti suoi,” con estrema naturalezza .
E fu in quella occasione che, risaliti sul pullman (tutti o quasi avevano approfittato di quella sosta), sentimmo la voce del nostro professore citare, quasi a chiedere scusa, le parole del Porta: “Se pò nò nò, se pò nò!...Ma mi la foo”.
E subito dopo ci interpellò con questa domanda: “Non vi pare di avvertire qualche consonanza tra le parole del Porta e quelle del Vangelo?
Per cui a me sembra – aggiunse – che si potrebbe parlare di un “vangelo secondo Carlo Porta”.
E proseguì dicendo:”Pensate alle antitesi che si trovano nel Discorso della montagna riportato da Matteo.
Sono famose. Dovrebbe essere facile ricordarle.
Eccone alcune.
“Voi sapete che ai vostri antenati fu detto: Non uccidere..
Io però vi dico…
“Voi sapete che fu detto: Occhio per occhio e, dente per dente.
Io però vi dico...”
Notate. In questi diversi esempi c’è un’affermazione il cui senso viene corretto o capovolto
dall’autorità di un io che ha tutta la forza del ma mì usato dal Porta.
Questo ma mi si può intuire anche là dove Gesù, in polemica con i farisei o gli scribi sempre pronti a denunciare i suoi comportamenti, soprattutto in occasione di miracoli compiuti in giorno di sabato, rivendica la sua libertà in nome di un principio che egli ha formulato con queste parole:
“Il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato”.
Ma sapete che cosa vuol dire un’affermazione di questo genere?
Riuscite a capire quale libertà Gesù riconosceva all’uomo?”.
A questo punto la voce dell’oratore, già incrinata dalla fatica e forse anche da qualche emozione troppo forte, ci lasciò a una nostra personale riflessione.
Tutti fummo sorpresi nel costatare che sul nostro pullman si era creata un’atmosfera di silenzio non passivo ma creativo, come se ciascuno si sentisse invitato a portare a termine quella improvvisata e un po’ ruspante lectio magistralis a cui aveva assistito.
E intanto si rendeva palese anche un clima di crescente simpatia verso quel nostro insegnante che, lontano dalle aule scolastiche, per la prima volta ci rivelava qualche tratto della sua calda umanità.
Eravamo in prossimità della meta quando, nell’attraversare un villaggio, riudimmo ancora la sua voce che ci invitava, questa volta, a prestare attenzione a un cartello stradale che avremmo trovato
sulla nostra destra.
Si procedeva lentamente in quel tratto di strada e quindi tutti ebbero la possibilità di assecondare il desiderio del nostro grande maestro.
Due erano le note informative che venivano trasmesse.
La prima riguardava l’orario festivo delle S. Messe.
L’altra era segnalata da un vistoso WC seguito da un segno grafico che ne indicava la ubicazione nella piazza della chiesa.
Ma perché i due avvisi erano strettamente legati tra loro quando nel riquadro del cartello c’era tanto spazio che avrebbe permesso di tenerli ben distinti?
E soprattutto, perché quel profano WC doveva campeggiare proprio sotto la dicitura S. Messe del primo avviso?
E‘un fatto che tutti vi avevano colto un intento dissacrante(“blasfemo”addirittura, come ebbe a suggerire qualcuno).
Si può capire pertanto quale fu la nostra sorpresa quando, riprendendo la parola, il nostro maestro ci confidò di non potere condividere le nostre impressioni.
Se è vero infatti che due sono le dimensioni costitutive dell’essere umano, quella spirituale e quella materiale, fisica, carnale, non era possibile privilegiare la prima mortificando la seconda, mentre entrambe dovevano essere riconosciute e rispettate.
Era il caso di citare a questo proposito un detto famoso del grande Pascal:”
“Chi vuol fare l’angelo, fa la bestia”.
Perciò, là dove noi avevamo avuto il sospetto di un intento denigratorio, egli vi trovava il segno di un alto grado di civiltà e di una vera cultura.
Queste cose le andava dicendo con la forza di un suo personale ma mi che, mentre dissipava i nostri pregiudizi, disponeva il nostro cuore ad accogliere con gioioso stupore la parola sempre nuova e sempre umanizzante del vangelo di Cristo.
Era tale il fascino che esercitava su quanti lo stavano ascoltando che, una volta raggiunta la meta, si formò attorno a lui un drappello dei suoi più vivaci estimatori con la speranza di avere in dono qualche altro saggio della sua sapienza evangelica.
Ma intanto urgevano incombenze che sarebbe stato imprudente rimandare.
Un aiuto in tale senso ci venne offerto da una piccola e sottile tavola di legno grezzo, lavorata in forma di freccia per suggerire un percorso.
Ma dove ci avrebbe portati quella indicazione, visto che tutte le spiegazioni possibili erano racchiuse in una sola parola e per di più poco incoraggiante?
ABORT infatti era la sola parola incisa nel legno di quella piccola tavola.
A liberarci dalle nostre perplessità fu ancora una volta la presenza del nostro amabilissimo professore il quale, con un’intonazione rassicurante e lasciando un piccolo spazio alla nostra intuizione, ci incoraggiò dicendo:”Fieu, la parola l’è bruta, ma l’è quela che fa per mi”.
E subito lo vedemmo sparire nella direzione indicata.