mercoledì 5 novembre 2008

Inter-ludio 3

Certo, se si toccasse il tema delle amnesie, la serie dei capita potrebbe prolungarsi all’infinito.
Ma non ritengo sia il caso di puntualizzare le singole dimenticanze che sono costretto ad accusare, per esempio, nel corso di una conversazione.
Credo piuttosto che mi convenga osservare il problema nei suoi aspetti ricorrenti.
Che con il passare degli anni si faccia sempre più fatica a ricordare i nomi delle persone, è un lamento comune.
E io non mi sottraggo a questo disappunto così diffuso.
Ma mi accorgo anche che la vecchiaia, se da una parte toglie, dall’altra restituisce.Mi riferisco alla facilità con cui in questa età affiorano ricordi di tempi lontani, con una ricchezza e nitidezza di particolari davvero sorprendenti.
Vorrei a questo proposito segnalare un caso che mi ha molto colpito.
Ero parroco da poco tempo quando venni a sapere che una signora ultranovantenne desiderava una mia visita.
Era una persona ancora molto vivace, che però negli ultimi tempi aveva perso completamente l’uso della lingua italiana, mentre aveva preso a esprimersi correttamente in francese.
Perché in francese?
Perché, essendo nata a Cap d’Ail in Costa Azzurra, il francese era stato la lingua parlata negli anni della sua prima infanzia.
Anch’io mi sto accorgendo di ritrovare, dopo più di sessant’anni di oblio, parole, espressioni, modi di dire appartenenti al mondo dell’infanzia lontana.
Si tratta per lo più di termini dialettali la cui riscoperta, involontaria, mi procura sempreun’emozione intensa, perché mi permette di rivivere momenti e situazioni abbelliti dal fascino della nostalgia.
E’ quello che ho provato recentemente quando mi sono ritrovato nella memoria, non so come, la parola burlott.
E’ bastata questa parola per evocare la cena di certe sere d‘estate, quando compariva in tavola un minestrone in cui si distinguevano nettamente , panciuti e paffuti com’erano, i fagioli appena colti chiamati appunto i burlott.
E chiaro che l’attenzione dei bambini fosse rivolta soprattutto a questa deliziosa apparizione. Quanti ne sarebbero toccati a ciascuno?
Ma prima che le papille gustative potessero esercitarsi su tanto bendidio, c’era un rituale da osservare.
Nessuno lo imponeva, ma erano i bambini stessi a farne memoria.
Ciascuno raccoglieva la propria razione di burlott in una pezzuola di tela bianca (il cosiddetto mantin) che poi, tenendo bene stretti i quattro capi in una mano, spiaccicava con colpi assai ben assestati sulla propria fronte.
Si può facilmente immaginare la soddisfazione quando, svolgendo i lembi estremi del mantin,si vedeva comparire un tortino di farina di fagioli con tutta la fragranza di un dessert casereccio.
Questo ricordo, come altri che hanno una vaga parentela con la famosa madeleine di proustiana memoria, compensa coloro che come me da tempo sono incamminati sul Viale delle Rimembranze.
Questa memoria involontaria è dunque molto preziosa, ma non risolve i problemi di chi si trova nella necessità di dover rammentare, per esempio, un nome che sia stato dimenticato.Sarà capitato anche a te - mi riferisco a un ipotetico compagno di viaggio – di accorgerti che, mentre stai parlando, per un improvviso vuoto di memoria ti viene a mancare l’elemento fondamentale della tua narrazione.
Che fare?
In questi casi si cerca di forzare la memoria, con accorgimenti vari, così da riconquistare ciò che è stato perduto.E intanto, nell’attesa che si accenda dentro di te la piccola luce della riscoperta, tenti di allargare il discorso su tanti altri particolari.
E’ quello che è capitato un giorno a mons. Figini, illustre Preside della facoltà teologica di Milano. quando ancora era considerato il più grande teologo in circolazione almeno negli anni di Papa Pacelli (Va detto però che in quel piccolo universo concentrazionario quale era allora il seminario milanese, senza confronti con il mondo esterno, era facile che si creassero figure mitiche come quella di mons. Figini, tanto che sono portato a credere che, se fossi rimasto qualche anno ancora in seminario, avrei potuto anch’io aspirare al titolo di migliore latinista almeno della diocesi di Milano).
Ecco la scena che si svolse su un tram di p.za Cadorna, la sera che il nostro Monsignore vi salì per recarsi in via Calatafimi.
Monsignore, al bigliettaio che gli sta di fronte, seduto al suo panchetto, in coda alla vettura:“Mi perdoni. Questo è il tram che passa da via… da via… ? Ahimè, che la parola non mi viene….”.Bigliettaio, con un fare rispettoso e incoraggiante: “Provi a frugare ancora nella memoria.E se vuole che l’aiuti, mi faccia pure qualche domanda”.
Monsignore: “E’ il nome di una grande battaglia combattuta dai garibaldini in terra siciliana. Mi hanno raccontato di questa battaglia due amici bergamaschi, che avevano partecipato alla spedizione.I bergamaschi pare che fossero più di 200, attirati in quell’avventura soprattutto dal prestigio di Garibaldi”.
Bigliettaio, dando qualche leggero segno di impazienza.: “Sì, d’accordo, ma il problema ora è di trovare il nome della via”.
Monsignore:“Se avessi tra le mani quel magnifico resoconto che sulla spedizione ci ha lasciato Cesare Abba, con il titolo Da Quarto al Volturno, il problema sarebbe già risolto”.
Bigliettaio, dando sfogo a questo punto a tutto il suo buon senso: ”Monsignore, vedo che lei parla come un’enciclopedia, ma, se permette, il mio parere è questo: non sarebbe stato meglio, invece di ricordare tante cose, tenere a mente quell’unico nome che ora ci manca?”.
Appunto.
That is the question..

Queste divagazioni sulla memoria devo confessare che hanno lo scopo di ingannare l’attesa di un referto clinico per un esame a cui sono stato sottoposto qualche giorno fa.Avendo dovuto cambiare il mio medico curante, ho affrontato ben volentieri tutti gli accertamenti che mi sono stati prescritti, tranne quello riguardante la situazione neurologica dell’encefalo. Provo sempre un po’di disagio al pensiero che un occhio indiscreto possa penetrare nel mio mondo segreto e spiare indebitamente i movimenti dei miei pensieri più o meno vagabondi....Se, come spero, non si troverà nessuna particolare anomalia, mi guarderò bene dal confidare la mia soddisfazione a certi amici, perché non si ripeta quello che è capitato a un mio vecchio professore di seminario.Reduce da un delicato intervento alla testa, diede lui stesso pubblicamente notizia del felice superamento di questa sua disavventura dicendo: “Mi hanno guardato dentro e non hanno trovato niente”.Tra gli ascoltatori ci fu allora qualcuno – di uno so con assoluta certezza - che commentò la notizia mormorando segretamente una frase che aveva reso famoso in quei tempi un personaggio di Jacovitti.L’espressione, impietosa, era: “Lo supponevo!”.