Monsignore, che già una volta ha abbandonato per qualche breve margine di tempo la frequentazione di interessi, si fa per dire, più elevati per difendere le ragioni della sua seconda piccola fede, quella relativa alla squadra del cuore (Monsignore tifa Inter), si lascia ora amabilmente coinvolgere nel coro di voci sincere che intendono celebrare un maestro di semplicità e di lealtà.
Si associa ben volentieri sapendo che nel caso dell’amico Bearzot non c’è il rischio di praticare un elogium tale da assecondare le esigenze del grande circo mediatico che ama più la finzione che la verità.
E’ certo infatti che se mai l’amico Enzo si trovasse a leggere qualcosa che non aderisce alla sua natura schiva, di uomo cioè le cui qualità sono così ben dissimulate da diventare il normale modo di essere, non si risparmierebbe il gusto di commentare con una robusta pernacchia friulana.
Sono quasi venticinque anni che monsignore ha la fortuna di avvicinarlo, da quando (ricorda bene quella prima volta), passando per la benedizione delle famiglie, si vide contraccambiare le poche gocce di acqua benedetta con un calice colmo di grappa picolit, da consumare – beninteso - lì per lì, con la stessa docilità con cui lui aveva accolto il rito della benedizione.
Da quel primo incontro benedetto con acqua e “spirito” è nata un’intesa che si sarebbe poi nutrita più di sguardi che di parole, perché era dato a ciascuno di intuire i pensieri dell’altro semplicemente attraverso le espressioni del volto.
Le parole, si diceva, erano poche, ma sempre sapide da parte sua, perché attingevano a una saggezza popolare che aveva radici lontane tanto da impreziosirsi talvolta di qualche massima latina che meglio rispecchiasse la sua visione della vita.
A monsignore pare di capire che proprio da una di queste reminiscenze letterarie l‘amico Enzo abbia mutuato la vis polemica che sente di dover esprimere nei confronti di quel mondo fatuo, esibizionista, cialtrone che sembra imporsi in ogni ambito della vita sociale.
“O quanta species… cerebrum non habet!” ama ripetere con il grande Fedro.
Bisognerebbe - confessa monsignore - sorprenderlo al mattino al bar dove è solito prendere il caffè per sentire con quale veemenza, dopo aver dato uno sguardo al giornale, si impegna a denunciare e a demolire le apparenze vuote di gente la cui irresistibile ascesa nel campo della politica come in quello dello sport non è per lui motivo di invidia, ma di profondo disgusto.
Non si lascia certo conquistare dai grandi personaggi che trionfano sulla scena mediatica, ma dalle persone vere che abbiano in testa un po’ di quel cerebrum senza il quale tutto diventa finzione e inganno.
Ma in che cosa consiste precisamente questo elemento che dà sapore a tutta l’esistenza?
Non si tratta di quella intelligenza fredda e calcolatrice di cui si servono gli arrampicatori sociali che Bearzot non si stanca di detestare.
Si tratta piuttosto di quel tipo di intelligenza che coniuga in sè la mente e il cuore, di quella particolare saggezza che rivela un profondo legame con il mondo degli affetti.
A questo punto monsignore non intende forzare la sua discrezione che ama rivestire i sentimenti di grande pudore.
Ma come potrebbe passare sotto silenzio l’importanza che l’amicizia ha sempre avuto nella vita di Enzo Bearzot?
L’amicizia, come per padre David Maria Turoldo, suo conterraneo, rappresenta il bene più grande e l’esperienza privilegiata per riscattare l’esistenza da ogni forma di noia e di stanchezza.
Dell’amicizia conosce la tenerezza che si esprime particolarmente nella dolce complicità con la moglie Luisa.
Che importa se per le sue premurose e tenaci insistenze ha dovuto rinunciare al gusto di ripulire la tazzina del caffè con qualche goccia di grappa secondo il rituale tutto friulano del resentin come pure si è lasciato privare della gloriosa pipa dei mondiali che gli conferiva una simpatica aria patriarcale quando certi sbuffi di fumo gli incorniciavano il volto?
Sentirsi governato da una presenza così affettuosa gli ha fatto apprezzare ancora di più i legami che nell’ordine dell’amicizia si sono intrecciati nella sua vita e che ora rimangono saldamente radicati nel suo cuore.
Si può capire perciò la commozione con cui parla dei “suoi ragazzi” che hanno condiviso nella stagione eroica dei mondiali di Spagna le tensioni e le fatiche come anche le grandi soddisfazioni dopo il meritato trionfo.
Monsignore, che da tempo ormai lo vede arrivare puntualmente ogni domenica nella sua chiesa con l’immancabile presenza della cara Luisa e di un piccolo stuolo di amici a lui devoti (tra questi c’è anche un campione del mondo di ciclismo su pista), potrebbe parlare a lungo del suo grande cuore, aperto a tutto ciò che di bello e di buono offre la vita, soprattutto al dono dell’amicizia.
Ma vorrebbe concludere questa sua affettuosa testimonianza con un ricordo che lo tocca da vicino procurandogli un’emozione sempre nuova.
Bisogna sapere che sulla parete dello studio a cui è addossato il suo tavolo di lavoro compare in un ovale una grande fotografia che lo ritrae di spalle con addosso la maglia nerazzurra contrassegnata, a chiare lettere, dal suo nome e, quasi ad occupare tutta la schiena, dal numero 50.
A chi è dovuta tale bizzarra invenzione?
Fu durante il grande pranzo organizzato in parrocchia per celebrare il cinquantesimo di sacerdozio che monsignore si trovò accanto l’amico Bearzot dal quale, in uno scroscio di applausi, si vide rivestito di colori meno sacri ma ugualmente cari al suo cuore.
Ora, volendo contraccambiare il favore, immagina l’amico ripreso lui pure di spalle, in maglia azzurra, su cui dovrebbe risaltare con particolare evidenza il numero 80.
E immagina ancora di vedere questa grande fotografia inserita, come la sua, in una falsa cornice elaborata dal computer che però preveda la presenza di un cartiglio per una possibile dedica.
Che cosa amerebbe scrivere?
Ad multos annos?:troppo banale.
Per aspera ad astra? : troppo ascetico.
Excelsior? : troppo irenico.
E allora monsignore si arrende e preferisce accompagnare i passi dell’amico con le parole che gli nascono dal cuore: “Caro Enzo, ti hanno chiamato il vecio per la tua saggezza, ma io mi ostino a vedere in te i tratti del bambino che sogna un mondo sempre più bello.
Che il mondo sia fatto per la gioia e per l‘amore, ce lo ricorda anche il nostro amico, padre Turoldo, del quale vorrei dedicarti alcuni versi che sono una calda esortazione alla speranza:
"Tempo è di unire le voci
di fonderle insieme
e lasciare che la grazia canti
e ci salvi la bellezza”.
Si associa ben volentieri sapendo che nel caso dell’amico Bearzot non c’è il rischio di praticare un elogium tale da assecondare le esigenze del grande circo mediatico che ama più la finzione che la verità.
E’ certo infatti che se mai l’amico Enzo si trovasse a leggere qualcosa che non aderisce alla sua natura schiva, di uomo cioè le cui qualità sono così ben dissimulate da diventare il normale modo di essere, non si risparmierebbe il gusto di commentare con una robusta pernacchia friulana.
Sono quasi venticinque anni che monsignore ha la fortuna di avvicinarlo, da quando (ricorda bene quella prima volta), passando per la benedizione delle famiglie, si vide contraccambiare le poche gocce di acqua benedetta con un calice colmo di grappa picolit, da consumare – beninteso - lì per lì, con la stessa docilità con cui lui aveva accolto il rito della benedizione.
Da quel primo incontro benedetto con acqua e “spirito” è nata un’intesa che si sarebbe poi nutrita più di sguardi che di parole, perché era dato a ciascuno di intuire i pensieri dell’altro semplicemente attraverso le espressioni del volto.
Le parole, si diceva, erano poche, ma sempre sapide da parte sua, perché attingevano a una saggezza popolare che aveva radici lontane tanto da impreziosirsi talvolta di qualche massima latina che meglio rispecchiasse la sua visione della vita.
A monsignore pare di capire che proprio da una di queste reminiscenze letterarie l‘amico Enzo abbia mutuato la vis polemica che sente di dover esprimere nei confronti di quel mondo fatuo, esibizionista, cialtrone che sembra imporsi in ogni ambito della vita sociale.
“O quanta species… cerebrum non habet!” ama ripetere con il grande Fedro.
Bisognerebbe - confessa monsignore - sorprenderlo al mattino al bar dove è solito prendere il caffè per sentire con quale veemenza, dopo aver dato uno sguardo al giornale, si impegna a denunciare e a demolire le apparenze vuote di gente la cui irresistibile ascesa nel campo della politica come in quello dello sport non è per lui motivo di invidia, ma di profondo disgusto.
Non si lascia certo conquistare dai grandi personaggi che trionfano sulla scena mediatica, ma dalle persone vere che abbiano in testa un po’ di quel cerebrum senza il quale tutto diventa finzione e inganno.
Ma in che cosa consiste precisamente questo elemento che dà sapore a tutta l’esistenza?
Non si tratta di quella intelligenza fredda e calcolatrice di cui si servono gli arrampicatori sociali che Bearzot non si stanca di detestare.
Si tratta piuttosto di quel tipo di intelligenza che coniuga in sè la mente e il cuore, di quella particolare saggezza che rivela un profondo legame con il mondo degli affetti.
A questo punto monsignore non intende forzare la sua discrezione che ama rivestire i sentimenti di grande pudore.
Ma come potrebbe passare sotto silenzio l’importanza che l’amicizia ha sempre avuto nella vita di Enzo Bearzot?
L’amicizia, come per padre David Maria Turoldo, suo conterraneo, rappresenta il bene più grande e l’esperienza privilegiata per riscattare l’esistenza da ogni forma di noia e di stanchezza.
Dell’amicizia conosce la tenerezza che si esprime particolarmente nella dolce complicità con la moglie Luisa.
Che importa se per le sue premurose e tenaci insistenze ha dovuto rinunciare al gusto di ripulire la tazzina del caffè con qualche goccia di grappa secondo il rituale tutto friulano del resentin come pure si è lasciato privare della gloriosa pipa dei mondiali che gli conferiva una simpatica aria patriarcale quando certi sbuffi di fumo gli incorniciavano il volto?
Sentirsi governato da una presenza così affettuosa gli ha fatto apprezzare ancora di più i legami che nell’ordine dell’amicizia si sono intrecciati nella sua vita e che ora rimangono saldamente radicati nel suo cuore.
Si può capire perciò la commozione con cui parla dei “suoi ragazzi” che hanno condiviso nella stagione eroica dei mondiali di Spagna le tensioni e le fatiche come anche le grandi soddisfazioni dopo il meritato trionfo.
Monsignore, che da tempo ormai lo vede arrivare puntualmente ogni domenica nella sua chiesa con l’immancabile presenza della cara Luisa e di un piccolo stuolo di amici a lui devoti (tra questi c’è anche un campione del mondo di ciclismo su pista), potrebbe parlare a lungo del suo grande cuore, aperto a tutto ciò che di bello e di buono offre la vita, soprattutto al dono dell’amicizia.
Ma vorrebbe concludere questa sua affettuosa testimonianza con un ricordo che lo tocca da vicino procurandogli un’emozione sempre nuova.
Bisogna sapere che sulla parete dello studio a cui è addossato il suo tavolo di lavoro compare in un ovale una grande fotografia che lo ritrae di spalle con addosso la maglia nerazzurra contrassegnata, a chiare lettere, dal suo nome e, quasi ad occupare tutta la schiena, dal numero 50.
A chi è dovuta tale bizzarra invenzione?
Fu durante il grande pranzo organizzato in parrocchia per celebrare il cinquantesimo di sacerdozio che monsignore si trovò accanto l’amico Bearzot dal quale, in uno scroscio di applausi, si vide rivestito di colori meno sacri ma ugualmente cari al suo cuore.
Ora, volendo contraccambiare il favore, immagina l’amico ripreso lui pure di spalle, in maglia azzurra, su cui dovrebbe risaltare con particolare evidenza il numero 80.
E immagina ancora di vedere questa grande fotografia inserita, come la sua, in una falsa cornice elaborata dal computer che però preveda la presenza di un cartiglio per una possibile dedica.
Che cosa amerebbe scrivere?
Ad multos annos?:troppo banale.
Per aspera ad astra? : troppo ascetico.
Excelsior? : troppo irenico.
E allora monsignore si arrende e preferisce accompagnare i passi dell’amico con le parole che gli nascono dal cuore: “Caro Enzo, ti hanno chiamato il vecio per la tua saggezza, ma io mi ostino a vedere in te i tratti del bambino che sogna un mondo sempre più bello.
Che il mondo sia fatto per la gioia e per l‘amore, ce lo ricorda anche il nostro amico, padre Turoldo, del quale vorrei dedicarti alcuni versi che sono una calda esortazione alla speranza:
"Tempo è di unire le voci
di fonderle insieme
e lasciare che la grazia canti
e ci salvi la bellezza”.