Quando tento di interpretare la vicenda artistica di Gianfanco Cattaneo, mi soccorre una frase di Picasso: "Occorre molto tempo per diventare giovani".
Che Gianfranco Cattaneo goda di una invidiabile condizione fisica nonostante gli anni che l’anagrafe gli assegna, è un fatto che riempie di stupore coloro che hanno la fortuna di avvicinarlo.
Ma ancora più sorprendente è la freschezza con cui si dedica all’attività pittorica, da lui riscoperta una volta cessata l’attività professionale, quando altri avvertono la stanchezza che li induce a seguire in forme ripetitive una pratica già lungamente collaudata..
Giovane è lo sguardo sempre vivo e interrogante, giovane la luce che brilla nei suoi occhi, giovane la passione con cui si innamora di un soggetto fino al suo pieno compimento
Di questo fervore creativo la prova più eloquente ti viene data quando, visitando la sua abitazione, hai l’impressione di trovarti in un immenso atelier.
Tutto è in ordine e tutto al tempo stesso tradisce un fremito di impazienza nel realizzare quello che egli ha già contemplato nella camera segreta del suo mondo interiore.
Se è vero che si è scelto uno studiolo come luogo privilegiato del suo rapporto con l’arte (è lì che trovi sempre su un cavalletto un nuovo lavoro in gestazione), bisogna subito aggiungere che il dinamismo creativo deborda e si irradia in ogni angolo della casa dove, appoggiate alle pareti, ti è dato di osservare tele ultimate e altre appena abbozzate, in un disordine solo apparente perché di ciascuna Gianfranco Cattaneo saprebbe tracciare una piccola storia, come se fosse l’unica a meritare in quel momento tutta la sua attenzione.
Secondo un famoso aforisma di Oscar Wilde in letteratura (ma anche, pare di capire, in ogni altra espressione artistica) l’ispirazione conta il dieci per cento, mentre il novanta per cento è solo traspirazione.
Pensando a Gianfranco Cattaneo mi sento di rovesciare questo rapporto assegnando il ruolo più importante proprio all’ispirazione, o se si vuole, all’entusiasmo con cui si dedica all’attività pittorica vincendo in tal modo il peso della traspirazione, cioè del sudore, della fatica, delle ore sottratte a un meritato riposo.
Ho parlato di entusiasmo, ma vorrei precisare.
Non si tratta di una semplice propensione a realizzarsi lasciandosi sollecitare da qualcosa che già si possiede, ma di una tensione verso l’assoluto, verso un orizzonte di pura bellezza in cui sia possibile percepire la presenza del divino, come del resto suggerisce l’etimologia della parola entusiasmo dove compare il termine theòs, cioè Dio.
Per raggiungere questo orizzonte Cattaneo si è affidato a una poetica molto essenziale: ha puntato tutto sulla nostalgia e sul colore.
La nostalgia lo ha portato a rivisitare le opere dei grandi maestri, soprattutto fiamminghi, nel cui mondo fantastico ha visto rispecchiati i sentimenti che meglio definiscono la sua segreta identità.
Le malinconie di certe ore crepuscolari, la poesia della natura al suo ridestarsi, l’incantevole stupore che si esprime in paesaggi colmi di luce come pure la festevole allegria che trascorre in una festa paesana rappresentano – è un giudizio unanime - il fascino particolare delle opere di certi maestri fiamminghi e olandesi, come quelli appartenenti alla grande famiglia dei Brueghel.
Ora, questo fascino è possibile avvertirlo anche nelle tele di Gianfranco Cattaneo il quale si é posto davanti ai modelli di questi grandi artisti non con la puntigliosa ma fredda fedeltà del copista, bensì con la calda partecipazione emotiva di chi si è lasciato toccare da quelle immagini tanto da ricrearle con una felice libertà interpretativa.
Non è però su certe volute difformità che bisogna indugiare per mettere in luce la novità della sua arte.
Senza dubbio ha dilatato le misure delle immagini originali (che a volte hanno le dimensioni di una semplice cartolina) e ha giocato con i dettagli di certe scene ora inventandone alcuni, ora sopprimendone altri, ma è giunto il momento di affermare che il valore del suo esercizio pittorico sta tutto nel sapiente trattamento del colore.
E’ nella resa di certe atmosfere indefinite e come sospese che Gianfranco Cattaneo dà il meglio della sua sensibilità pittorica con la delicatezza delle sue pennellate e le vibrazioni cromatiche che riesce a ottenere.
Un diverso sentimento del colore è quello che Cattaneo ci comunica
attraverso le immagini quanto mai suggestive delle sue nature morte.
Qui ci sono vasi e cesti traboccanti di frutta che si impongono all’attenzione con l’immediatezza della loro superba bellezza.
Qui l’artista, dopo aver accarezzato con lo sguardo questi doni che sembrano provenire da una favolosa cornucopia, ci rende partecipi del suo stupore, servendosi della forza mimetica ed evocativa dei colori.
Non è forse questa una delle principali funzioni assegnate all’arte?
Ecce pictura: così recita un cartiglio che Maurizio Bottoni, un pittore innamorato della tradizione, ha posto a commento di una delle sue ultime opere. La tela presenta su un vassoio la testa del pittore (un macabro autoritratto!), recisa come quella del Battista.
Si tratta di una sorta di cordoglio sulla pittura tradizionale, sacrificata, è facile intuire, da ciò che di eversivo viene espresso dalle nuove avanguardie.
Ecce pictura potrebbe figurare anche in qualche natura morta di Gianfranco Cattaneo.
In questo caso l’iscrizione, abbandonato ogni intento provocatorio, suonerebbe come festosa celebrazione di un’arte che trae dalla realtà l’impulso iniziale a creare immagini le quali poi, per l’afflato poetico da cui sono investite, vengono a trasfigurarsi in icone di pura bellezza.
E’questo il miracolo della vera arte.
Che Gianfranco Cattaneo goda di una invidiabile condizione fisica nonostante gli anni che l’anagrafe gli assegna, è un fatto che riempie di stupore coloro che hanno la fortuna di avvicinarlo.
Ma ancora più sorprendente è la freschezza con cui si dedica all’attività pittorica, da lui riscoperta una volta cessata l’attività professionale, quando altri avvertono la stanchezza che li induce a seguire in forme ripetitive una pratica già lungamente collaudata..
Giovane è lo sguardo sempre vivo e interrogante, giovane la luce che brilla nei suoi occhi, giovane la passione con cui si innamora di un soggetto fino al suo pieno compimento
Di questo fervore creativo la prova più eloquente ti viene data quando, visitando la sua abitazione, hai l’impressione di trovarti in un immenso atelier.
Tutto è in ordine e tutto al tempo stesso tradisce un fremito di impazienza nel realizzare quello che egli ha già contemplato nella camera segreta del suo mondo interiore.
Se è vero che si è scelto uno studiolo come luogo privilegiato del suo rapporto con l’arte (è lì che trovi sempre su un cavalletto un nuovo lavoro in gestazione), bisogna subito aggiungere che il dinamismo creativo deborda e si irradia in ogni angolo della casa dove, appoggiate alle pareti, ti è dato di osservare tele ultimate e altre appena abbozzate, in un disordine solo apparente perché di ciascuna Gianfranco Cattaneo saprebbe tracciare una piccola storia, come se fosse l’unica a meritare in quel momento tutta la sua attenzione.
Secondo un famoso aforisma di Oscar Wilde in letteratura (ma anche, pare di capire, in ogni altra espressione artistica) l’ispirazione conta il dieci per cento, mentre il novanta per cento è solo traspirazione.
Pensando a Gianfranco Cattaneo mi sento di rovesciare questo rapporto assegnando il ruolo più importante proprio all’ispirazione, o se si vuole, all’entusiasmo con cui si dedica all’attività pittorica vincendo in tal modo il peso della traspirazione, cioè del sudore, della fatica, delle ore sottratte a un meritato riposo.
Ho parlato di entusiasmo, ma vorrei precisare.
Non si tratta di una semplice propensione a realizzarsi lasciandosi sollecitare da qualcosa che già si possiede, ma di una tensione verso l’assoluto, verso un orizzonte di pura bellezza in cui sia possibile percepire la presenza del divino, come del resto suggerisce l’etimologia della parola entusiasmo dove compare il termine theòs, cioè Dio.
Per raggiungere questo orizzonte Cattaneo si è affidato a una poetica molto essenziale: ha puntato tutto sulla nostalgia e sul colore.
La nostalgia lo ha portato a rivisitare le opere dei grandi maestri, soprattutto fiamminghi, nel cui mondo fantastico ha visto rispecchiati i sentimenti che meglio definiscono la sua segreta identità.
Le malinconie di certe ore crepuscolari, la poesia della natura al suo ridestarsi, l’incantevole stupore che si esprime in paesaggi colmi di luce come pure la festevole allegria che trascorre in una festa paesana rappresentano – è un giudizio unanime - il fascino particolare delle opere di certi maestri fiamminghi e olandesi, come quelli appartenenti alla grande famiglia dei Brueghel.
Ora, questo fascino è possibile avvertirlo anche nelle tele di Gianfranco Cattaneo il quale si é posto davanti ai modelli di questi grandi artisti non con la puntigliosa ma fredda fedeltà del copista, bensì con la calda partecipazione emotiva di chi si è lasciato toccare da quelle immagini tanto da ricrearle con una felice libertà interpretativa.
Non è però su certe volute difformità che bisogna indugiare per mettere in luce la novità della sua arte.
Senza dubbio ha dilatato le misure delle immagini originali (che a volte hanno le dimensioni di una semplice cartolina) e ha giocato con i dettagli di certe scene ora inventandone alcuni, ora sopprimendone altri, ma è giunto il momento di affermare che il valore del suo esercizio pittorico sta tutto nel sapiente trattamento del colore.
E’ nella resa di certe atmosfere indefinite e come sospese che Gianfranco Cattaneo dà il meglio della sua sensibilità pittorica con la delicatezza delle sue pennellate e le vibrazioni cromatiche che riesce a ottenere.
Un diverso sentimento del colore è quello che Cattaneo ci comunica
attraverso le immagini quanto mai suggestive delle sue nature morte.
Qui ci sono vasi e cesti traboccanti di frutta che si impongono all’attenzione con l’immediatezza della loro superba bellezza.
Qui l’artista, dopo aver accarezzato con lo sguardo questi doni che sembrano provenire da una favolosa cornucopia, ci rende partecipi del suo stupore, servendosi della forza mimetica ed evocativa dei colori.
Non è forse questa una delle principali funzioni assegnate all’arte?
Ecce pictura: così recita un cartiglio che Maurizio Bottoni, un pittore innamorato della tradizione, ha posto a commento di una delle sue ultime opere. La tela presenta su un vassoio la testa del pittore (un macabro autoritratto!), recisa come quella del Battista.
Si tratta di una sorta di cordoglio sulla pittura tradizionale, sacrificata, è facile intuire, da ciò che di eversivo viene espresso dalle nuove avanguardie.
Ecce pictura potrebbe figurare anche in qualche natura morta di Gianfranco Cattaneo.
In questo caso l’iscrizione, abbandonato ogni intento provocatorio, suonerebbe come festosa celebrazione di un’arte che trae dalla realtà l’impulso iniziale a creare immagini le quali poi, per l’afflato poetico da cui sono investite, vengono a trasfigurarsi in icone di pura bellezza.
E’questo il miracolo della vera arte.
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