Una mia visita - mi era stato detto – sarebbe stata molto gradita.
Per questo mi sono affrettato verso la casa di A. R. C., una signora che ha maturato già una bella età (credo abbia superato i 90 anni) e che ora si trova ad affrontare i postumi di un'operazione per la frattura di un femore.
In seguito a questo infortunio è rimasta molto debilitata tanto che difficilmente lascia la camera da letto.
“Non collabora, non vuole proprio collaborare”, mi dicono le due figlie che l’assistono con un‘attenzione dolce e premurosa e me lo ripetono, con voce più sostenuta, mentre ci avviciniamo alla camera della madre.
Ma il rimprovero questa volta non arriva a destinazione perché la mamma è ancora assopita, in uno stato di dormiveglia da cui si ridesta solo dopo che le viene annunciata la mia visita.
La ritrovo con il pallore abituale del suo volto, ma, non appena mi ha riconosciuto, basta poco a restituirle uno sguardo che si illumina di un lieve sorriso, mentre la voce, per quanto flebile, riprende la dolcezza e la fluidità di un tempo.
Da quel letto, diventato una sorta di cattedra domestica, mi dispensa intuizioni e riflessioni attinte ad una superiore saggezza e filtrate attraverso lunghe ore di silenzio.
Ancora una volta ho l’impressione di non essere io a portare una nota di conforto, ma che sia lei a offrirmi motivi di grande speranza.
Il punto di maggiore intensità emotiva mi vien fatto di registrarlo quando, con grande naturalezza, fa scivolare nel suo discorso queste parole meravigliose: “I veri miracoli sono gli incontri con gli amici”.
Mi domando: si potrebbe celebrare l’amicizia in una forma più semplice e più toccante?
Nella verità di queste parole a me pare di cogliere echi e vibrazioni di un mondo affettivo che un Dio innamorato ha consegnato alle pagine dei vangeli e che autori come padre David Maria Turoldo e don Michele Do (cito tra i tanti questi cultori dell’amicizia perché sono gli ultimi che io ho potuto conoscere personalmente) ci hanno permesso di rivisitare con un cuore colmo di stupore.
Sono parole che mi suggeriscono anche il profumo del Natale, se è vero che attendiamo il miracolo di un Dio il quale viene tra noi a portare la gioia di sentirci amati.
Questo sentore di poesia natalizia lo ritrovo anche in un racconto che la stessa signora mi aveva fatto pochi mesi fa.
”Non ero ancora nata – mi diceva – quando il mio fratellino più piccolo, con la sua candida fede nei prodigi della Notte Santa, chiese per quell’anno alla mamma il dono di una sorellina. e la mamma, che sapeva di essere da poco incinta, si fece garante che il desiderio sarebbe stato esaudito, se solo fosse stato capace di aspettare oltre il Natale.
Fu così che, essendo io nata il 24 giugno, giorno della festa di S. Giovanni Battista, quel mio fratellino, che proprio in quel giorno festeggiava il suo onomastico, prese a volermi un bene immenso vedendo in me, finché visse, un segno della benevolenza divina”.
Nessun commento a questo stupendo racconto.
Mi permetto solo di ricordare il lieve fremito di commozione con cui mi veniva trasmesso.
E mi auguro che la stessa commozione arrivi al cuore di tutti.
E sia quel cuore di fanciullo che il Natale ci fa riscoprire: un cuore intuitivo aperto alla dimensione dell’invisibile e alla presenza nascosta dell’Amico.