24 febbraio
"Eheu fugaces (…) labuntur anni”
Il lamento oraziano sugli anni che fuggono via veloci vale – sia chiaro - per noi, poveri ”tristanzuoli e lanternuti”, che ci sentiamo “come d’autunno sugli alberi le foglie”, mentre tu te ne stai “come torre ferma che non crolla giammai la cima per soffiar de’venti”.
Attraverso queste poche reminiscenze letterarie vorrei dirti quanto grande sia la mia ammirazione nel giorno in cui gli amici si stringono attorno a te per festeggiare la freschezza dei tuoi novant’anni.
Mi piace ricordare i tuoi silenzi eloquenti, il tuo sguardo vivo e penetrante, le tue apparenti assenze nel corso di una conversazione, presto contraddette da qualche intervento particolarmente puntuale e folgorante: immagini queste e impressioni che, raccolte negli incontri iniziati tanti anni fa nella casa ospitale di Lillo Santucci a Guello, avvalorano sempre più in me il privilegio di poter godere della tua amicizia.
Ma proprio per la confidenza che si è creata tra noi, vorrei segnalarti – me lo permetti?- una tua indelicatezza, sia pure involontaria, nei confronti di una gentile ammiratrice la quale, tanto tempo fa, rimase talmente conquistata da una tua omelia che, appena terminata la celebrazione, si precipitò in sacrestia con la speranza di averne il testo.
“Non posso: le mie omelie saranno pubblicate postume” fu la tua risposta, data, pare con un tono alquanto asciutto.
Al che la signora candidamente replicò: “Speriamo che sia presto”.
Penso a quella signora e alla sua lunga attesa che da quel giorno (saranno passati oramai più di trent’anni) pazientemente si protrae nel tempo.
Che avessero ragione gli amici, quando amabilmente ti diedero il soprannome di padre "omissionario"?
Ma sono io il primo a mandarti assolto da questa inadempienza.
Non si può essere perfetti in tutto.
Soprattutto quando, per non voler deludere una persona, si corre il rischio di doverne deludere mille altre.
"Eheu fugaces (…) labuntur anni”
Il lamento oraziano sugli anni che fuggono via veloci vale – sia chiaro - per noi, poveri ”tristanzuoli e lanternuti”, che ci sentiamo “come d’autunno sugli alberi le foglie”, mentre tu te ne stai “come torre ferma che non crolla giammai la cima per soffiar de’venti”.
Attraverso queste poche reminiscenze letterarie vorrei dirti quanto grande sia la mia ammirazione nel giorno in cui gli amici si stringono attorno a te per festeggiare la freschezza dei tuoi novant’anni.
Mi piace ricordare i tuoi silenzi eloquenti, il tuo sguardo vivo e penetrante, le tue apparenti assenze nel corso di una conversazione, presto contraddette da qualche intervento particolarmente puntuale e folgorante: immagini queste e impressioni che, raccolte negli incontri iniziati tanti anni fa nella casa ospitale di Lillo Santucci a Guello, avvalorano sempre più in me il privilegio di poter godere della tua amicizia.
Ma proprio per la confidenza che si è creata tra noi, vorrei segnalarti – me lo permetti?- una tua indelicatezza, sia pure involontaria, nei confronti di una gentile ammiratrice la quale, tanto tempo fa, rimase talmente conquistata da una tua omelia che, appena terminata la celebrazione, si precipitò in sacrestia con la speranza di averne il testo.
“Non posso: le mie omelie saranno pubblicate postume” fu la tua risposta, data, pare con un tono alquanto asciutto.
Al che la signora candidamente replicò: “Speriamo che sia presto”.
Penso a quella signora e alla sua lunga attesa che da quel giorno (saranno passati oramai più di trent’anni) pazientemente si protrae nel tempo.
Che avessero ragione gli amici, quando amabilmente ti diedero il soprannome di padre "omissionario"?
Ma sono io il primo a mandarti assolto da questa inadempienza.
Non si può essere perfetti in tutto.
Soprattutto quando, per non voler deludere una persona, si corre il rischio di doverne deludere mille altre.