Leggendo oggi il Corriere ho trovato un paginone dedicato ai malati di parkinson
Mi ha colpito in particolare un servizio che portava questo titolo: “Da Wojtyla a Dalì, il male dei grandi”
Mi ha colpito, ma sarebbe bene precisare: mi ha contrariato, urtato, indispettito.
Mi sono detto:“Se è vero che il parkinson è il male dei grandi, che c’entro io con questa malattia?”.
Posso capire che nell’elenco delle persone citate figurino i nomi di Papa Wojtyla, del mio carissimo card. Martini come pure quello di mons. Maggiolini, vescovo di Como, che tante volte ha avuto l’onore di comparire in televisione nel prestigioso servizio di Bruno Vespa, Porta a porta, ma uno come me che neppure può fregiarsi impunemente del titolo di monsignore, avrebbe dovuto sentirsi al riparo da questa malattia.
Che sia sbagliata la tesi sostenuta nel Corriere?
Un giornalista, per di più del Corriere, non può dire cose che non siano fondate.
E allora non mi resta che denunciare la grave ingiustizia che mi è stata fatta.
“No, non è giusto!”mi dico. "Io mi ribello. Qui c’è un abbaglio colossale. A meno che…”.
Mi sorge un dubbio.
E se godessi di una grandezza nascosta, per nulla appariscente, così ben dissimulata da non averne la benché minima consapevolezza?
Devo perciò impegnarmi a scoprire quest’altra identità, per spiegarmi come possa essere stato cooptato nella famiglia eletta dei parkinsoniani.
Ho scritto un Elogio della piccolezza.
E gli amici sanno della mia predilezione per la semplicità dell’asinello, assunto da me come emblema di una vita evangelicamente realizzata.
Non potrebbe essere stato (cerco di indovinare) proprio l’amore per le cose che non contano a segnalare il mio caso a chi dall’alto dispensa i percorsi da seguire secondo una logica non sempre facilmente accertabile?
Mi rimane da scoprire se e in che misura il “male dei grandi” possa essere inteso come un privilegio oppure come una prova particolarmente severa.
E qui mi si affaccia un’interpretazione che può sciogliere qualche nodo di troppo e consentirmi una comprensione più pacata e pacificante della mia condizione.
ll parkinson è il “male dei grandi” perché permette di seguire un cammino che può portare alla vera grandezza dell’uomo.
E’ vero: quel “lui” (mister Parkinson) di cui ho già parlato lo sento spesso come un essere ingombrante, dispettoso, impiccione.
Ma il fatto di rallentare i miei movimenti e di isolarmi nel corso di una conversazione mi offre l’opportunità di approfondire certe riflessioni che hanno bisogno di grandi silenzi per diventare motivi di immensa consolazione.
Ricordo, a questo proposito, con quale passione il carissimo amico don Michele Do richiamasse le parole del vangelo, di Agostino, di Gandhi sulla necessità di abitare dentro gli spazi della propria interiorità per ascoltare dalla voce del cuore verità che contano veramente.
“In interiore homine habitat veritas”diceva con il grande Agostino.
Perciò sentiva di dover condividere anche il suo invito a rientrare in se stesso: In te ipsum redi.
Liberato dalle urgenze del fare mi trovo particolarmente favorito in questa discesa nel profondo della interiorità dove mi è dato di sognare e di contemplare, di apprezzare le piccole .gioie che la vita dispensa ogni giorno, senza essere distratto da tante futilità, di sentirmi in pace con gli altri, ma anche con il mio passato, riscoprendo e conservando della vita soprattutto il profumo di bontà di qualche volto che ho incontrato.Se poi mi fosse concesso di contemplare “quel” volto, potrei dire anch’io, come il vecchio Simeone: “Ora lascia che il tuo servo se ne vada in pace secondo la tua parola”.