martedì 27 novembre 2007

Lunedì 12 novembre

Stamattina mi sono svegliato con le note di Beethoven, di Haydn, di Frescobaldi, di Scarlatti.
Non saprei dire quali fossero i brani musicali trasmessi dal programma “Terzo anello” di “Raitre”.e tanto meno sarei in grado di riferire qualcosa dell’ampio e avvolgente commento con cui la conduttrice del programma disponeva all’ascolto dei singoli brani.
In quella condizione di semitorpore in cui era piacevole attardarsi prima di riavere, si fa per dire, il pieno possesso delle proprie capacità percettive, solo una parola mi è rimasta impressa con tutto il fascino poetico che Leopardi attribuiva al linguaggio non puramente denotativo, ma allusivo.
Ho sentito infatti evocare la parola “infinito”, e subito ho provato una piccola emozione che via via si è fatta sempre più viva e coinvolgente.
Mi sono detto che se la musica ha il potere di dischiudere la dimensione dell’infinito, vengono a cadere tutte le meschinità, fatte di appropriazioni e di esclusioni, che siamo costretti registrare in altri ambiti della nostra quotidiana esperienza.
Cerco di spiegarmi meglio.
Il fatto che Frescobaldi o Scarlatti o Beethoven o qualsiasi altro genio musicale appartenga a una determinata area geografica o culturale interessa molto al fine di definire i dati costitutivi della personalità artistica di ogni autore, ma quando ascolto la loro musica, li sento come compagni universali di ogni essere che voglia ristorarsi alle sorgenti della più pura e sovrumana bellezza.
Non c’è ragione, in altre parole, di relegarli dentro precisi recinti di appartenenza, perché, quando si respira l’aria delle grandi altezze, si crea un senso di amicizia che travalica tutti i particolarismi e i campanilismi dettati dal nostro spirito possessivo.
Per contro è facile osservare che, discendendo dalle sommità abitate dalla dimensione dell’infinito verso realtà decisamente segnate dal “particulare”, le passioni degli uomini si accendono e si esasperano fino a praticare la violenza più sfrenata.
La riprova è data dai gravi disordini (la notizia l’ho avuta dal giornale radio di stamattina) che si sono verificati ieri in certi stadi e in diversi settori della capitale in seguito alla morte di un tifoso laziale.
Quando la fortuna di una squadra di calcio diventa un bene esclusivo da gestire con ogni sorta di interventi, anche al limite della legalità, lo spettacolo perde la sua funzione di intrattenimento rasserenante per diventare occasione di scontro tra opposte fazioni.
Perché non dovrebbe essere possibile assistere a una partita con l’animo sgombro dallo spirito di parte (il cosiddetto tifo) così da godere della bellezza del gioco, quale che sia la squadra che meglio lo esprime?
Posso confidare che, nonostante la mia irrinunciabile fede interista, mi è capitato più volte di vedere una partita lasciandomi conquistare unicamente dallo spettacolo che si svolgeva sotto i miei occhi, in cui mi era dato di ammirare ora la razionalità di una difesa impenetrabile, ora il guizzo estroso di certi attaccanti, e di interpretare la ricerca del goal come una piccola parabola esistenziale che rispecchiasse l’anelito dell’uomo a realizzare qualcosa di grande nella sua vita.
Ma credo che per assistere ad una piena pacificazione bisognerà attendere ancora molto, anche se non c’è da disperare.
Se è vero che ci sarà un giorno in cui il lupo e l’agnello pascoleranno insieme (Isaia 65, 25), perché non deve essere concesso di immaginare tifosi juventini allegramente mescolati con quelli interisti sugli stessi spalti, così quelli interisti mescolati con quelli milanisti in occasione di un derby, o quelli della Roma con quelli della Lazio…?
Speriamo.
Devo dire che nella quotidiana razione di tristezze che il notiziario dispensa ogni mattina, ho colto una breve notizia che mi ha molto confortato.
Secondo questa informazione, in Irlanda l’ultima fazione armata (pare del fronte protestante)
avrebbe deciso di deporre le armi..
L’Irlanda e stata teatro di sanguinose lotte fratricide, combattute per tanto tempo in nome di Dio.
Anche concedendo che il nome di Dio in queste lotte è servito spesso a mascherare altre ragioni non propriamente di ordine religioso, da quelle di ordine etnico a quelle di natura economica, rimane pur vero che lo scandalo è grave: ci sono persone che invece di convertirsi al fascino di un Dio che, come Padre di tutti, fa appello a un senso di universale fraternità, ne mortificano il sogno trascinandolo dentro le loro sanguinose contese.
Avrebbero dunque ragione quegli studiosi che vedono nelle religioni monoteiste la causa principale dei gravi conflitti che hanno segnato la storia dell‘umanità?
Per questo - dicevo - mi ha molto rallegrato la piccola notizia trasmessa dalla radio questa mattina.
E mi auguro che tante altre ugualmente consolanti possano seguire.
In particolare mi aspetto che cessi finalmente lo spettacolo vergognoso che le diverse confessioni cristiane continuano a dare in “Terra Santa” dove gli edifici di culto sono luoghi di conflitto.
A Betlemme ortodossi, armeni e francescani si contendono la basilica della Natività; a Gerusalemme il Santo Sepolcro vede la difficile coabitazione di cattolici latini, greci ortodossi, armeni, siriaci, copti.
Dio è il bene più grande, è amore universale. Perché non dovremmo aspettarci da lui quel senso di pacificazione che – come abbiamo osservato - riescono a offrire i grandi musicisti elevandoci con la loro arte al di sopra delle nostre meschine rivalità?