Pur essendo stato diverse volte in Turchia, non avevo mai saputo nulla di Hodja, un simpatico personaggio considerato come il portavoce della saggezza popolare di quella nazione.
Di lui si racconta (è un aneddoto che mi è capitato di trovare in una delle mie ultime letture) che un giorno, avendo perso l’asino, si mise a percorrere città e villaggi promettendo in dono il suo asinello a chi l’avesse trovato.
“Ma perché lo cerchi se poi sei pronto a privartene?”gli domandavano i passanti.
Hodja rispondeva: “E’ per la gioia di ritrovarlo”.
Questa breve storia esalta senza dubbio la straordinaria
pietas di Hodja, ma al tempo stesso è un implicito riconoscimento della amabilità che l’asino custodisce sotto sembianze così umili e dimesse.
E’ questa la ragione che mi ha portato a riservare all’asino una attenzione particolare.
Chi entrando nella mia nuova casa volesse accompagnarmi nel mio
petit voyage autour de ma chambre, rimarrebbe certo sorpreso nel vedere come l’angolo del mio studio dove abitualmente lavoro al computer sia tutto tappezzato di immagini di asini. Sono fotografie, incisioni, ceramiche, acquerelli ricevuti in dono da amici, da quando si è diffusa la voce della mia strana predilezione per questo animale.
Se poi volesse seguirmi fino al primo dei finestroni che danno luce all’interno, scoprirebbe sulla grande mensola che lo delimita un presepio fatto solo di asini, protesi verso l’esterno quasi ad aspettarsi un sorriso di simpatia dalle persone che eventualmente si trovassero a passare.
Ce ne sono di tutti i tipi: di peluche, di ceramica, di legno, di terracotta, di cartapesta, ciascuno con una sua storia particolare di cui si arricchisce il capitolo dell’amicizia che va acquistando un valore sempre più grande nella ma vita.
Intendo dire questo: ogni asinello mi richiama il nome della persona amica che me lo ha dato in dono, dopo averlo scelto pensando a me, per lo più in occasione di qualche viaggio turistico in paesi dove questo animale non è ancora in via di estinzione come pare succeda da noi.
È certo dunque che la mia collezione non esprime la maniacale passione del collezionista che si compiace di ogni nuova acquisizione per il semplice gusto di poterla esibire.
Qui c’è qualcosa che sfugge a una semplice ricognizione superficiale, perché è custodito nella memoria del cuore.
Ma se anche mancasse questo particolare rimando alle ragioni dell’amicizia, penso che a giustificare la mia collezione rimarrebbe pur sempre il rapporto di empatia che si è stabilito tra la mia esistenza e quella dell’asino.
Da quanto tempo? Non sapei precisare.
So soltanto che tutte le volte che mi è dato di incontrare un asino mi intenerisco facilmente contemplando il suo portamento dolce e mansueto, i suoi occhi pensosi e meditativi appena sfiorati da un velo d tristezza.
E mi è facile capire perché nel vangelo e nella tradizione cristiana l’asino venga celebrato come immagine esemplare di quella semplicità umile e docile che costituisce la vera grandezza davanti a Dio.
Ecco perché, pensando all’asino della Natività e a quello che accompagnò Gesù nel suo ingresso in Gerusalemme, ho voluto esprimere un giorno tutta la mia affettuosa
partecipazione al mistero della piccolezza evangelica custodito da questa creatura così vicina al cuore di Dio:
Asinello di Betlemme,
piccolo asino dal musetto bianco,
che cosa è rimasto in te di quella notte
popolata di luci e di canti?
Non ti ha sfiorato
la carezza degli angeli in volo,
il gemito dolce di un bimbo,
il vociare sommesso dei pastori,
il caldo belato degli agnelli,
il sospiro leggero di una mamma
nell’offrire il seno al suo piccolo nato?
No, tu quella notte,
forse stordito da troppe emozioni,
te ne stavi raccolto nell’ombra
che si faceva sempre più densa
e intanto forse sognavi,
sognavi come sogna un bambino,
i grandi occhi velati dal sonno,
il cuore a inseguire vagabondo
immagini sempre cangianti
e insolite stranezze di voci.
E sognando te ne andavi abbagliato
dallo splendore di una grande città,
portando sul tuo esile dorso
un uomo dal nome straniero,
così dolce, così mite,
così silenziosamente assorto
nelle parole che echeggiavano intorno
con accenti non ignoti al tuo cuore:
erano bambini o erano angeli a cantare
“Osanna nel più alto dei cieli”?
Asinello mio caro, mio dolce fratello
che ti ritrovasti al risveglio
gli occhi umidi di pianto
e gocce di lacrime a imperlarti
il tuo musetto bianco,
il tuo segreto sia anche il nostro
in questo andare errabondi
tra sogno e realtà, tra speranze e delusioni
e in questo nostro inconsapevole invocare:
“O tu, abbi pietà di noi!”.